MICHELE MARINO
Laurea in giurisprudenza nel 1978, Dirigente in quiescenza della Presidenza del Consiglio, Tecnico legislativo, Esperto in comunicazione pubblica, Docente nelle Scuole della P. A.., Scrittore.
Tra gli incarichi istituzionali si segnala quello di Vice Capo di Gabinetto del Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, nel I e II Governo Berlusconi.
Iniziative e promozione di rilievo istituzionale per la comunicazione e la formazione:
– l’Apertura dei “palazzi” e visite guidate, componente Comitato per i “giovani e le Istituzioni repubblicane” (VI Governo Andreotti);
– l’ideazione e programmazione dei Corsi sulle tecniche legislative, Scuola Superiore della P. A.;
– l’introduzione del Picchetto d’onore a Palazzo Chigi (11/04/’94), in occasione del “cambio della guardia” tra il Presidente uscente, Ciampi ed il neo Presidente, Berlusconi.
Nel corso delle funzioni svolte per l’attività di Governo ha “attraversato” ben 24 Esecutivi della Repubblica Italiana, è stato impiegato con gli “Uffici di diretta collaborazione” di 5 autorità governative, e professionalmente in otto distinti settori della Presidenza del Consiglio: Rapporti con il Parlamento, Cerimoniale di Stato, Gabinetto del Vice Presidente del Consiglio (Vice Capo di Gabinetto), Dipartimento Affari Economici (Referente presso il CIPE), Dipartimento Affari sociali (Segreteria Osservatorio nazionale sul Volontariato), Affari Regionali, Politiche comunitarie (Sindacato Ispettivo Parlamentare), Dipartimento della Protezione civile (incarico di staff di livello generale). Oltre che da funzionario civile del Ministero della Difesa, dal 1982 all’87.
Tuttora promuove, coordina e dirige una serie di convegni di studi, patrocinati dalle Istituzioni repubblicane ed anche europee, che presiede in veste di Relatore o moderatore, tra i quali si segnala la Tavola rotonda “Attualità della Costituzione 75 anni dopo: Lavoro, Economia e Ruolo del CNEL”, Villa Lubin, maggio 2023.
Riconoscimenti pubblici e Onorificenze: Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, dic. 2004; Premio “Bonifacio VIII” Anagni, Convegno storico “A 75 anni dai Patti Lateranensi”, Roma, 2005; Commendatore dell’Ordine di San Silvestro Papa; Premio Nazionale Minturnae, “speciale Presidenza”, XLVI Edizione 2022; autore di Una vita nel Palazzo – autobiografia reportage di un «inviato speciale», Gangemi editore.
Il Consorzio Sviluppo Sostenibile Valle dell’Ofanto, fondato nel 2011, lo conferma presidente ed è menzionato nella Relazione introduttiva del d.d.l. “Istituzione del Parco nazionale del fiume Ofanto”, presentato dal sen. Damiani, tuttora in corso d’esame.
È attualmente capo dell’Osservatorio legislativo di SIMA, Società italiana Medicina Ambientale dal 2020.
Ha conseguito l’attestato di “Tutore volontario dei minori stranieri non accompagnati”, Garante per l’Infanzia, Regione Lazio.
Prefazione di Rino Caputo*
Eccede il suo ambito un Funzionario dello Stato (“civil servant” è l’allusiva autodenominazione) che si permette di pensare e dire sulle tendenze sociali ovvero sulla generale condizione del (nostro) Paese?
Michele Marino, dopo l’ancor fresco quanto durevole successo del suo primo libro Una vita nel Palazzo. Autobiografia. Reportage di un “inviato speciale” Roma, Gangemi Editore, 2022), non esita a comporre un affresco vivace, mai scontato, della società civile e delle istituzioni statali, attraverso la sua penna sapida e pungente e, tuttavia, sempre ariosamente ironica e, qua e là, con una quasi dolente compassione per i personaggi e le vicende tratteggiati.
La lettura di queste pagine si rivela altresì proficua sia per chi è delegato a governare sia per chi sceglie, ogni giorno, anche se, talora, con fatica, di tutelare attivamente il bene della democrazia e della libertà nella prassi operosa.
Che è, poi, quello che un ‘civil servant’, almeno da Machiavelli in poi, è titolato a fare.
In/Out: per sé e per (noi) altri.
Rino Caputo
Storico e Critico della Letteratura
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*Lazzaro Rino Caputo insegna Letteratura Italiana presso il Corso di Laurea in Storia, Scienze e Tecniche dello Spettacolo (SSTMS ex DAMS) e per il Corso di Laurea Specialistica in Italianistica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “Tor Vergata”. Ha pubblicato saggi e volumi su Dante, Petrarca, Manzoni e il primo romanticismo italiano, Pirandello e sulla critica letteraria italiana e nordamericana contemporanea. Membro della Dante Society of America, ha svolto lezioni e seminari, oltre che in vari atenei italiani, nelle università di Cambridge (UK), Zurigo, Lussemburgo, “Al Alson” del Cairo, Cracovia, Varsavia, Minsk, “RGGU” di Mosca, Tirana, Stoccarda, Heidelberg, Tubinga, Harvard e UCLA (Usa), Ottawa, Kingston, Toronto e “McGill” di Montréal (Canada), dove, in particolare, è stato per alcuni anni ‘visiting professor’ di letteratura italiana e critica letteraria internazionale. È, inoltre, ‘Assessor’ (esperto valutatore) del SSHRC (Consiglio di Ricerca in Scienze Umane del Canada). Ha insegnato “Interpretazione del testo letterario italiano” e “Didattica della Letteratura Italiana” nella Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento nella Scuola Secondaria (SSIS) del Lazio, nei primi anni dalla sua costituzione, ed è docente di Linguistica Italiana e di “Laboratorio per la competenza dell’Italiano scritto e orale” nella Scuola di Specializzazione (ora Master) in Giornalismo e Comunicazione Pubblica dell’Università di Roma “Tor Vergata”. Nel triennio 1999-2002 ha insegnato “Storia della Letteratura” nella Scuola Nazionale di Cinema (ex Centro Sperimentale di Cinematografia di Cinecittà). Collabora alle maggiori riviste di letteratura italiana ed è Condirettore della rivista internazionale “Dante. International Journal of Dante Studies” e Direttore della rivista “Pirandelliana”. Dal febbraio 2003 al settembre 2007 è stato Presidente Nazionale dell’ADI-SD, Sezione Didattica dell’Associazione dei Professori Universitari di Letteratura Italiana (ADI), del cui Direttivo fa parte.
Dal novembre del 2007 è Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “Tor Vergata”.
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Postfazione di Roberto Cipriani*
Questo secondo libro di Michele Marino è ben diverso dal precedente, che conteneva prioritariamente i suoi ricordi di funzionario dello Stato, impegnato ai livelli più alti, con incontri e frequentazioni di rilevanza primaria, come testimonia la serie di nomi citati nel testo (cfr. Una vita nel Palazzo. Autobiografia. Reportage di un “Inviato speciale”, Gangemi, Roma, 2022). Stavolta emerge maggiormente la persona di Michele, in primo piano come libero cittadino (e non più come civil servant), con le sue riflessioni sulla realtà sociale, sul mondo, sulla politica, sulla vita quotidiana, insomma un mosaico di vicende ed un affresco di impressioni con pennellate rapide e sferzanti, già evidenti nella scelta dei titoli dei capitoli, mai banali e sempre comunicativi al massimo sin dalla prima lettura.
Pure la dedica la dice lunga sulle intenzioni reali dell’autore, che si fa osservatore del vissuto individuale e collettivo, con piglio quasi sociologico e senza scadere nel facile moralismo. Del resto, non è affatto casuale anche la scelta di Giuseppe Giusti per l’esergo del volume: si chiama in causa proprio colui che, come si legge nella sua poesia “Sant’Ambrogio”, mette “le birbe alla berlina”, cioè espone i birboni alla vergogna, alla derisione, come avveniva in passato nel medioevo ed ancora in pieno Ottocento, esponendo al pubblico ludibrio un accusato, un condannato, collocato su una panca o su un palco (appunto la “berlina”), dove campeggiava un cartello recante la scritta che indicava la colpa dello sciagurato.
La metafora è chiara: la “berlina” usata da Marino è il suo stesso tomo, ovvero le pagine dedicate alla corruzione ed alla questione meridionale, alle nuove generazioni ed agli attentati, all’uso delle dimissioni ed alle forme ironiche.
Come il Giusti cercava di condividere le sorti dei soldati austriaci inviati, lontano dalla casa e dalla famiglia, a compiere soprusi nel Lombardo-Veneto, così Marino prende le parti di tanti connazionali che si trovano ad agire fuori dalle regole, ma lo fa per trarne motivi di ammaestramento, ricavandone indicazioni promotrici di andamenti opposti, di rimedi efficaci, di contromisure adeguate. Insomma si tratta di un descrivere non per il gusto di condannare ma per offrire spunti di ragionamento, discussione, al fine di assumere decisioni utili al cambiamento dello status quo.
In fondo, anche Marino va “girellando”, come Giusti, alla ricerca di episodi da commentare, fatti da narrare ed interpretare, comportamenti da stigmatizzare però in vista di auspicabili miglioramenti. Gli “scherzucci di dozzina” proposti da Michele Marino sono certamente poca cosa rispetto ai mali maggiori delle malattie, delle povertà, degli sfruttamenti, delle evasioni fiscali, delle mafie, delle tossicodipendenze e di tante altre disgrazie italiane (e non), ma indubbiamente il sarcasmo ed insieme l’orgoglio del Nostro autore servono molto ad interrogarci ed anche ad inquietarci sul nostro tendere al quieto vivere, mentre il mondo va in rovina, e sulla nostra atarassia o imperturbabilità, rispetto ai mali del mondo (per cui diciamo: “meno male che non è capitato a me”).
Detto altrimenti, qui non traspare odio per i colpevoli, i mistificatori, i mestatori, i guastafeste. Quel che se ne ricava è invece un invito a ripensare il nostro modo di agire, il nostro assuefarci a ciò che avviene attorno a noi, non solo in Italia ma pure in Palestina o Israele, in Ucraina o in Russia, nello Yemen o in Iran, o in molte altre parti del mondo.
Se Giusti si commuove al canto dei soldati austriaci, Marino prende parte alle vicissitudini del nostro Paese e s’inquieta per le cose che non vanno, per il potere che opprime, per la verità che non trionfa, per l’onestà che non alberga in tutti.
Michele Marino, peraltro, non esprime giudizi in segreto sugli altri per poi lasciarci indovinare i soggetti in causa (come avviene nel gioco di società detto appunto “berlina”). Anzi egli è persino molto esplicito ed indica dati di fatto ed autori, senza remore di sorta. Tutto è chiaro e riconoscibile.
Forse può lasciare perplessi lo stile un po’ sbarazzino e meno misurato (rispetto all’opera pubblicata in precedenza), ma qui la variante del modo di porgere dell’autore riesce ad avere ragione rispetto a qualche possibile riserva appunto sul piano stilistico. In effetti, bisogna riconoscere che la scelta fatta in tal senso è pagante, in quanto il lettore segue meglio l’andamento del discorso, che gli pare fare parte di un tran-tran quotidiano, quasi di amici che s’incontrano per strada e parlano di quanto è capitato loro quel giorno stesso o in un passato più o meno recente.
Ricorrenti sono poi i modi di dire abituali, i proverbi, le frasi fatte, le citazioni dotte, insomma tutto l’armamentario di un discorrere intessuto di riferimenti di varia provenienza, non esclusa quella tipica del contesto di Strapaese riferito alla città di origine dell’autore, Cerignola, nel tavoliere delle Puglie. Il che non deve suonare come una deminutio capitis, ché anzi si ha a che fare con una tradizione letteraria importante che ha avuto in Leo Longanesi e Curzio Malaparte due esponenti di spicco.
Lo stesso titolo del libro è una dichiarazione d’intenti nel senso che fa capire subito la propensione dell’autore a sceverare nettamente fra ciò che è accettabile e ciò che non lo è. Però la realtà delle persone e dei fatti non è mai classificabile nettamente come bene o male, giusto od ingiusto, gradito o sgradito e così via. Sovente vi sono delle sfumature, delle nuances, per cui alla fine anche nei confronti del criminale più incallito non è detto che non si possano applicare le attenuanti generiche o che non si possa lasciare aperto uno spiraglio, per comprendere le ragioni del suo agire.
Infine, conviene mettere in conto che il lettore di questo libro si veda chiamare in causa, perché quanto qui narrato potrebbe riferirsi pure a qualche suo comportamento. Ed allora vale il classico detto latino: de te fabula narratur, espressione del poeta di Venosa (non lontana da Cerignola, patria di Marino) Quinto Orazio Flacco (Satire, I, 1, 69-70), che dopo aver parlato dell’avaro così si rivolgeva al suo lettore, per invitarlo a considerare come applicabile a se stesso l’insieme dei riferimenti presenti nel testo. Detto ciò, chi legge questo libro non può fare orecchi da mercante, né può trascurare l’ipotesi di essere egli stesso il lupus in fabula. Insomma: una lezione per noi tutti italiani.
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*Roberto Cipriani è professore emerito di Sociologia all’Università Roma Tre, dove è stato Direttore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dal 2001 al 2012. È stato visiting professor all’Università di Berkeley. È Past President dell’Associazione Italiana di Sociologia. È stato professore di Metodologia qualitativa all’Università di San Paolo (Brasile), di Sociologia qualitativa all’Università Federale di Pernambuco (Recife, Brasile), di Metodologia qualitativa all’Università di Buenos Aires, di Scienza della politica all’Università Laval del Québec, di Sociologia della religione all’Università Renmin di Pechino. Ha al suo attivo numerose indagini teoriche ed empiriche. La sua principale e più nota teoria sociologica è quella della “religione diffusa”, basata sui processi di educazione, socializzazione e comunicazione e applicabile sia ad un contesto come quello italiano che in altri paesi dove una particolare religione è dominante.
Ha condotto ricerche empiriche comparative in Italia a Orune (Sardegna), in Grecia a Episkepsi (Corfù), in Messico a Nahuatzen (Michoacán) ed a Haifa (Israele) sui rapporti tra solidarietà e comunità. Ha realizzato films di ricerca sulle feste popolari, in particolare sulla Settimana Santa a Cerignola in Puglia (“Rossocontinuo”) e in Spagna (“Semana Santa en Sevilla”, “Semana Santa en Valladolid”) e sulla festa patronale di un pueblo messicano (“Las fiestas de San Luís Rey”).
Su suggerimento ed invito di Michael Burawoy, al 13° Congresso Mondiale di Sociologia a Yokohama nel 2014, è stato candidato come Presidente dell’International Sociological Association. Cura le collane “Modernità e società” di Armando Editore e “Prospettive di sociologia della religione” delle Edizioni Borla. Fa parte del comitato editoriale delle riviste Current Sociology, Religions, Sociedad y Religión, Sociétés, La Critica Sociologica, Religioni e Società. È Advisory Editor della Blackwell Encyclopedia of Sociology. È stato Directeur d’Études – Maison des Sciences de l’Homme – Parigi e “Chancellor Dunning Trust Lecturer” alla Queen’s University di Kingston, Canada (lo stesso titolo è stato assegnato a Martha Nussbaum e Charles Taylor). È associato all’Istituto di Ricerca sulla Popolazione e la Politica Sociale del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Per una conoscenza completa cprianiroberto.it
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Volendo usare una metafora, idealmente immagino di fare una sorta di viaggio, in parte virtuale e in parte metafisico, alla ri-scoperta del modus vivendi, dei vizi e delle virtù italiche, la qual cosa mi auguro possa risultare originale e in qualche modo inedita, almeno in parte.
È l’occasione per ritrovarci, conoscerci meglio e rivedere insieme il nostro stile di vita, magari andando a braccetto o mano nella mano, osservando in modo particolare il nostro microcosmo da vicino e, a tratti, guardandolo nel tempo passato o in quello avvenire, comunque con un pizzico d’ottimismo, d’ironia o sarcasmo.
Non ho fatto mancare, in siffatto cammino, oltre a qualche spunto satirico, politologico o sociologico, aneddoti di vita vissuta – come già fatto nel romanzo documentale Una vita nel Palazzo, Roma, Gangemi editore, e riflessioni sui tanti paradossi, sulle più evidenti contraddizioni del nostro sistema e sulle originali ambiguità della nostra società contemporanea. E quindi analisi oggettive, denunce civiche o commenti parapolitici di fatti e misfatti dell’era attuale, tecnologica e controversa, tendente spesso a disumanizzare i rapporti interpersonali ed a eccessive personalizzazioni della politica. Un’epoca “social” e virtuale, fluida e di transizione, a cavallo tra un periodo recente, tormentato da una terribile – (chissà, fortuita o voluta in laboratorio?) – pandemia che non ci abbandona ancora del tutto e che ha mietuto milioni di vittime, destabilizzato umanamente sia sotto il profilo economico che psicofisico.
Il tutto sullo sfondo, tetro e angosciante, di un centinaio di guerre, per lo più dimenticate dai media del “civile” mondo occidentale, ormai interminabili. Particolarmente quella in corso da oltre due anni alle porte dell’Europa, scaturita dall’aggressione russa, che affonda le radici in un astio ed in atteggiamenti guerrafondai anche da parte ucraina; e quella mediorientale, in “Terra santa”, potenziale prodromo – anch’essa – di un conflitto mondiale, angosciante, senza via di fuga né d’uscita.
E comunque, sempre intravedendo il sorgere di un sole dell’avvenire per le giovani generazioni nella religiosa speranza in Dio affinché ci vorrà sostenere ad acquisire una maggior consapevolezza dell’oggettiva gravità e dell’urgenza lapalissiana di doversi prender cura, ognuno di noi, della “casa comune” (leggasi, ahimè, l’Enciclica Laudato si’). Ovverosia, della complessa situazione a livello planetario per via dell’inarrestabile processo del cambiamento climatico, tanto più nel nostro territorio, così delicato e fragile, che attende da qualche lustro di superare l’era delle promesse non mantenute in tema di difesa del sistema idrogeologico con concrete scelte programmatiche.
E dunque è anche un’occasione per evocare una chiara ed illuminata gestione di una governance capace di restituirci un’essenziale resilienza a fronte dei terrificanti, una volta imprevedibili, fenomeni catastrofali della natura, fortemente manomessa e violentata dalla prepotente presenza antropica. E ricordiamoci, comunque, che il 2023 è stato l’anno più caldo di tutti i tempi a livello planetario!
Quanto al titolo che ho scelto e che mi è piaciuto dare, esso trae spunto, ironicamente, da un modo di dire di un commentatore calcistico – al secolo, Pierluigi Barto – il quale, mentre il pallone sta andando in fallo laterale, usa ripetere: «la palla è finita in out». Tra l’altro va detto che uno dei club più prestigiosi della capitale inglese è proprio “The In and out Naval and Military Club”, fondato nel lontano 1862 (soltanto dieci anni prima del “nostro” Reale Circolo canottieri Tevere Remo); ed anche un simpatico mercatino dell’usato nella città di Milano. Oppure di quell’allegro film d’animazione, Inside out del 2015, prodotto dalla Walt Disney Pictures, scritto da Pete Docter in forma di lungometraggio d’animazione “Pixar”. Infine, nel gergo tennistico “Inside-out” e “inside-in”, sono due modi di fare il dritto d’attacco, primaria specialità del grande tennista svizzero, Roger Federer.
Si tratta, da un lato, di un’affermazione filologicamente spuria, per metà italiana, appunto “in”, e per metà in inglese “out”. E dall’altro, filosoficamente, del fatto che spesso ci troviamo inevitabilmente, chi più chi meno, davanti ad un’incertezza, un’indecisione, un bivio tra il male e il bene, tra il lecito e l’illecito, il giusto e l’iniquo. Appare, cioè, come una sorta di sintesi “politica” di quell’in-decisionismo che è tipicamente italiano (più frequente nella politica dei progressisti piuttosto che dei conservatori o dei moderati) e che ci indusse, ad esempio, a introdurre le Regioni nell’ordinamento repubblicano ben 27 anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, come anche la Corte costituzionale, organo di primaria importanza nell’ordinamento statale, con una decina d’anni di ritardo per via del dibattito politico-istituzionale.
Ebbene, se lo storytelling è l’arte di narrare storie vere e/o aneddoti in forma romanzata, cioè affabulare e attrarre il lettore secondo i principi della retorica, il mio metodo sarà impregnato dal desiderio di fornire uno spaccato della società attuale nel suo complesso e nei suoi mille dettagli, dal Palazzo ai tanti campanili sparsi qua e là, passando dal mondo cattolico a quello del volontariato sociale, non escluse le associazioni culturali e i circoli sportivi, nel quale spicca maggiormente la presenza attiva della donna.
Ma anche una garbata “contro-informazione” sull’orizzonte di un Paese che tende a una certa omologazione multimediale e finisce spesso in offside, ispirata dal desiderio di superare il fenomeno deleterio del cosiddetto “emergenzialismo” (suol dirsi che siamo in perenne campagna elettorale – chissà perché, mi sovviene una canzone famosa di denunzia a cura di Franco Battiato, «Povera patria … schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame, si credono potenti…»).
Altra emergenza, speculare a quella politica, è quella definibile la frantumazione dell’io, della personalità in molteplici identità, cosa che veniva rappresentata da Pirandello nel suo “relativismo”, ponendo il necessario risalto alla distinzione tra l’essere e l’apparire e definendola “recita del mondo”, come se noi cittadini del mondo vivessimo su un perenne palcoscenico, obbligati in buona sostanza a comportamenti stereotipi, imprevedibili : pensiero visionario quanto mai realistico e verosimile.
D’altronde, ci sarà anche l’altra metà del cielo o, meglio, il bicchiere mezzo pieno… cioè le non poche eccellenze nazionali, vanto e orgoglio di tutti noi, spesso aziende a carattere familiare, sparse da nord a sud e che si esprimono, elevando l’immagine dell’Italia nel mondo, nei distinti campi dell’arte, della cultura, della religione, della moda, del made in Italy e dello sport. Inoltre, volendo mutuare Martin Luther King, «I have a dream», il mio sogno – sia pur un po’ utopico – sarebbe da declinare così: ritroviamoci miracolosamente più civili, uniti e coesi in un grande progetto sociale di pacificazione culturale attorno ai valori fondanti della democrazia e di rigenerazione civile del nostro, piccolo ma grande Paese che – premessa l’istanza civica di legalità e riabilitando il principio della certezza del diritto, alias dura lex sed lex, riesca a conquistare un’adeguata credibilità nel mondo e, nell’interesse delle future generazioni, in termini di trasparenza etica e di sostenibilità ecologica ed energetica.
Ora una raccomandazione da moderato “nazionalista” appare d’obbligo: dobbiamo restare saldamente legati alle nostre millenarie radici, ai progenitori della Magna Grecia da Siracusa, patria di Archimede, a Taranto, la città dei Due Mari, e Brindisi, la porta d’Oriente, passando per la colonia greca Kroton e la magica Paestum, a Cicerone, Virgilio e Orazio, autori di pagine letterarie sublimi e di principi giuridici indelebili. Nonostante tutto, e grazie al cielo, orgogliosi, anzi fieri di essere italiani in virtù della nostra storia, millenaria sia pur frammentata. Specialmente quella rinascimentale, per i tanti talenti espressisi nel campo della cultura e dell’arte, geni assoluti che spiccano nella storia dell’umanità e che vengono ammirati universalmente in quanto l’hanno arricchita più di ogni altro Paese. – IN!
Attenzione, siamo l’Italia degli invincibili che sono volati via senza un vero perché … Quella del Grande Torino, di Enrico Mattei e di Aldo Moro, di Giacomo Matteotti, di Tommaso Fiore, ma anche di Araldo di Crollalanza, il Ministro dei Lavori Pubblici (nel Ventennio) più onesto e significativo, di Pasolini e di Carlo Acutis (deceduto a soli 15 anni), Beato dal 2020 e patrono della Gioventù. – IN.
Purtroppo, siamo anche il Paese più vecchio del Vecchio continente (età media di 48 anni!) – record europeo – IN cui la povertà “assoluta” sta crescendo da qualche anno (risulta di due milioni di persone in più, specialmente famiglie giovani), parallelamente all’aumento delle vittime sul lavoro e dei reati di femminicidio: dati che non ci inorgogliscono affatto! – OUT.
Infine, debbo confessare che a uno scrittore “non professionista” come me appagherà non tanto la vendita del libro, quanto la possibilità di contare in occasione delle conferenze di presentazione un numero di sedie occupate dal pubblico ben maggiore di quelle dei relatori. La qual cosa significherà, orbene, che non si tratta di un insuccesso, come rievocato simpaticamente dal noto sociologo Roberto Cipriani, emerito accademico.
Recensione di Domenico Cofano*
Il viaggio di un “Uomo del Palazzo”, che, rileggendo la propria storia, percorre, con gli occhi del cuore, con l’ironia dell’intelligenza, con l’ottimismo della solidarietà civile, con la tenacia della resilienza e con il sogno della Pace, i fatti e i misfatti, i pregi e i difetti, le eccellenze e le meschinità, il costume e il malcostume della società italiana.
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*Domenico Cofano, borsista presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Bari dall’1-11-72 al 31-10-74, e contrattista presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della stessa Università dall’1-11-74 fino al suo definitivo inquadramento nel ruolo dei ricercatori confermati (5 novembre 1981).
Nell’anno accademico 1990-1991 gli fu affidato, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bari, l’incarico di FILOLOGIA E CRITICA DANTESCA, che conservò poi fino all’anno accademico 2006-2007.
Nell’anno accademico 2000-2001 passò alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Foggia, dove ha tenuto ininterrottamente, a partire dallo stesso anno accademico, l’insegnamento di LETTERATURA ITALIANA, dapprima per supplenza; successivamente per chiamata in seguito all’idoneità conseguita nella valutazione comparativa, presso l’Università di Salerno, a un posto di professore associato per il ssd L12A-II sessione 2000 (decreto rettorale di nomina n. 677 del 27.04.2001); infine come professore ordinario (con relativa presa di servizio in data 22 dicembre 2003).
Nella stessa Facoltà ha tenuto anche, per supplenza: nell’anno acc. 2000-2001, l’insegnamento di DIDATTICA DELLA LINGUA ITALIANA; nell’anno accademico 2001-2002, per il Corso di Laurea in Lettere, gli insegnamenti di FILOLOGIA E CRITICA DANTESCA, di STORIA DELLA CULTURA REGIONALE e, per il Corso di Laurea in Beni culturali, quello di LETTERATURA ITALIANA; nell’anno accademico 2005-2006, per il Corso di laurea in Lettere, l’insegnamento di BIBLIOGRAFIA E BIBLIOTECONOMIA.
A partire dall’anno accademico 2000-2001, e fino all’anno accademico 2003-2004, ha insegnato nella S.S.I.S. METODOLOGIA E DIDATTICA DELLA LETTERATURA ITALIANA.
In data 16.12.2002 è stato nominato Presidente del Corso di Laurea in Scienze della formazione continua per il triennio 2002-2003, 2003-2004, 2004-2005. Eletto nel Senato Accademico, in rappresentanza dei professori di prima fascia, per il triennio accademico 2004-2005, 2005-2006, 2006-2007, è stato poi riconfermato anche per il triennio 2007-2008, 2008-2009, 2009-2010, che non ha completato, essendo stato eletto, in data 2-2-2009, nel Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo (per il quale è stato poi rieletto l’8-11-2010).
È stato anche Vicepreside della Facoltà di Lettere e Filosofia.
Componente del progetto cofinanziato dal MIUR, con sede presso l’Università di Messina, per gli anni 2003-2004, su «Il latino umanistico», è stato responsabile scientifico di vari gruppi di ricerca (fondi ex 60%), presso l’Università degli Studi di Foggia.
È stato anche membro del Consiglio Direttivo del Centro Linguistico d’Ateneo.
I suoi interessi scientifici si diramano, sostanzialmente, in tre direzioni, che molto spesso, inevitabilmente, si integrano e si intrecciano.
La prima è volta ad una ricognizione e sistemazione della cultura pugliese nel suo rapporto con la cultura nazionale ed europea. La seconda direzione di ricerca mira a ridisegnare la storia culturale italiana attraverso la rivisitazione di alcuni momenti salienti di polemica linguistica e letteraria e l’individuazione, in una rinnovata attenzione per i vari centri in cui si articola la storia nazionale, di quei gruppi intellettuali che segnino flussi significativi di cultura fra gli specifici ambiti territoriali e gli sfondi egemonici di riferimento. La terza, infine, vede prevalere gli interessi danteschi, che hanno trovato corpo in numerosi contributi e nell’organizzazione di importanti iniziative.
È socio, oltre che dell'”Arcadia”, dell’Accademia Pugliese delle Scienze e della Società di Storia Patria per la Puglia (della quale è stato Commissario per le sezioni di Fasano e di Monopoli).
È stato anche Consigliere Provinciale del Comitato di Bari dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, ed è tuttora nel Comitato di Redazione della rivista «Risorgimento e Mezzogiorno».
Dirige la collana «Letteratura e interpretazione», per le Edizioni del Rosone di Foggia, e, con Pietro Sisto, ha diretto per molti anni, per l’editrice Palomar, la collana «Antiquam matrem».
Relatore e componente del Comitato Scientifico e/o Organizzatore di vari Congressi nazionali e internazionali («Monopoli nell’età del Rinascimento», 22-23-24 marzo 1985; «Hrand Nazariantz fra Oriente e Occidente», Conversano 28-29 novembre 1987; «La ragion di stato a teatro», Foggia-Lucera-Bari 18-19-20 aprile 2002; «Storia e dopostoria: l’opera di Pier Paolo Pasolini», Bari, aprile 2005; «Da Flavio Biondo a Leandro Alberti. Corografia e antiquaria tra Quattro e Cinquecento» Foggia, febbraio 2006), dopo essere stato per molti anni Presidente della Biblioteca «Prospero Rendella» di Monopoli, è attualmente Direttore dell’Archivio Nazariantz di Conversano, Membro del Comitato Esecutivo del Centro Studi «Matteo Fantasia» di Conversano e Membro del Comitato Scientifico della «Fondazione Di Vagno».
È componente del Comitato Scientifico di “Studi danteschi” e di “Dante” e membro, rieletto, del Consiglio Direttivo dell’Associazione Nazionale degli Italiani, in rappresentanza della quale è stato anche, nel 2011, candidato al CUN per l’area 10.
Recensione di Mario Nanni*
Come esergo del suo libro IN/OUT, che come altri precedenti dello stesso autore continua il ‘’viaggio’’ nelle istituzioni pubbliche e negli usi e costumi del nostro Paese, Michele Marino, civil servant con la passione per la saggistica e la memorialistica, mette una frase di Giuseppe Giusti: Un libro non vale niente se non serve a cambiar la gente.
Ci verrebbe da dire: magari fosse vero. Giusti era un ottimista, credeva nel progresso e nell’invicilimento dell’umanità. Magari fosse vera la sua frase: vista la montagna di libri che si rovesciano sul mercato ogni anno, tanto da poter dire che siamo un popolo di santi e navigatori ma anche di scrittori e che sono più coloro che scrivono che coloro che leggono, avremmo una società trasformata e più civilizzata ( anche se, prevedo l’obiezione, ci sono libri buoni e libri cattivi; ma poi chi stabilisce qual è buono e qual è cattivo? ).
Ebbene, il libro di Michele Marino è da mettere nello scaffale dei libri che aiutano a capire in che Paese viviamo
Fatta queste considerazioni preliminari, la prima impressione che si ricava leggendo In/Out è quella del divertimento, e si suppone che l’autore sia stato il primo a divertirsi scrivendolo. Nonostante il sottotitolo ‘’serioso’’, da testo universitario ‘’Saggio sulle tendenze sociali’’, scorrendo l’indice dei capitoli, si leggono con un certo divertimento alcune modalità del comportamento degli Italiani, così da averne un assaggio antropologico dei nostri tempi. Ma questo ‘’divertimento’’ va a merito dell’autore che, animato da passione civile, riscatta l’apparente gravità degli argomenti con un tono leggero e leggibile. Facendo venire alla mente la vecchia polemica tra gli storici laureati e i giornalisti che scrivono di storia, tra Montanelli e De Felice: il primo, universalmente apprezzato come giornalista, veniva snobbato come storico dai cattedratici; ai quali il ‘’maledetto toscano’’ per converso rimproverava di essere illeggibili, mentre lui veniva letto, capito e diffuso.
Nello stilare una specie di catalogo delle cose che vanno e di quelle che non funzionano, in Italia, l’autore redige anche una sua personale classifica e scala di valori, indicando le eccellenze italiane, dando una sua interessante serie di esempi positivi ma in gran parte negativi del fenomeno planetario della globalizzazione. Al taglio politico e sociologico, a cui l’autore è per esperienza e studi evidentemente incline, si aggiunge anche qualche digressione di tipo più privato, dove compaiono persone care, genitori, nonni, il figlio, in una efficace sintesi tra dimensione sociale e civile e quella più propriamente familiare.
A questo Paese, così pieno di ombre ma anche di luci, Michele Marino guarda con un atteggiamento che oscilla come un pendolo tra il disincanto, il giudizio morale, e gli squarci di speranza che apre qualche finestra sull’avvenire.
IN/OUT: stavolta l’inglese, così criticato nel nostro tempo per la pervasività che assedia ogni giorno la nostra lingua, fino ad arrivare all’assurdo di pronunciare in inglese parole che appartengono al latino, è di aiuto: due sole parole, altrettante chiavi, o lenti, per guardare al nostro Paese e a come va evolvendo, nel bene e nel male.
Di questa Italia Michele Marino ci offre una rappresentazione non a senso unico: il lettore attento volenteroso farà poi i suoi calcoli per verificare se alla fine a prevalere sono i casi IN o quelli OUT
Mario Nanni
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*Mario Nanni, giornalista parlamentare. Direttore di Beemagazine. Già capo della redazione politica e capo redattore centrale dell’Ansa.