Paolo Tomasulo

I primi Saravalle ed altri sanfelesi

una storia di gente lucana del XVIII secolo

prefazione di Filippo La Porta*

Massaro Editore

2024

ISBN 979.12.81053.298

€ 10,00

*Filippo La Porta è saggista, giornalista e critico letterario. Collabora con testate giornalistiche, tra queste il “Corriere della Sera”, “Il Riformista”, “Il Messaggero”.

Info:  https://it.wikipedia.org/wiki/Filippo_La_Porta

 

 

 

Prefazione

“Dopo appena qualche miglio, si aprì la vista del paese di San Fele, proprio come un sipario a teatro che si alza e mostra il palcoscenico retrostante…”

Così Paolo Tomasulo ci introduce nel suo diorama fiabesco, in un personale teatro dei pupi dove si ingegna a manovrare con sapienza le marionette settecentesche di un dramma popolare eroicomico. E si tratta di marionette finemente incise: ricordiamo fra tanti personaggi coloriti almeno lo zio Tancredi, schietto e fieramente antiborbonico: “Completava il quadro della sua configurazione un importante paio di baffi, a copertura, quasi completa, della sua bocca, che spesso allisciava con le mani, specialmente quando era in fase di meditazione e ragionamento”

L’eroe è Gaetano Romano, il messo notarile, un giovane alle dipendenze del notaio di corte, messer Pedro Guevara, in missione in Basilicata, mentre a Napoli regna Carlo III di Borbone. Nel 1735 viene spedito in quella regione per una complicata riforma del catasto della provincia di Melfi. Ma il registro comico interviene dalla prima pagina, quando Gaetano, venendo da Napoli in groppa a un cavallo, chiede a un pastorello di don Francesco Tomasulo – il primo nome della sua lista – , ma quello resta lì, seduto su un masso e come impietrito, con lo sguardo “rapito dal nulla, posto all’infinito”. Poi risponderà laconico e imperturbato: “Mang’ ‘ll’er saccio, jie”.

Potrebbe essere una scena tratta da ‘Brancaleone’, solo spostata dal Medioevo al secolo dei lumi. Poi incontrerà Tomasulo, dal quale verrà ospitato, diventandone amico e partecipando in modo attivo alle vicende del piccolo borgo, tra le epidemie di peste, i raccolti della tenuta dei Tomasulo, i matrimoni, le leggende sacre, le omelie di un sacerdote che potrebbe competere con Cicerone quanto a oratoria, le statue della Madonna nascoste nell’incavo di un albero, le turbolente lune di miele chiusi in casa (da cui le donne uscivano spesso con tumefazioni oculari!), il brigantaggio incombente, le gioiose feste musicali d’addio e qualche bicchierino del ‘pastoso vino Aglianico’ preso nelle cantine.

Gaetano diventa ‘eroico’ nelle ultime pagine quando si offre generosamente come mediatore, travestito da frate, per riscattare con una somma di denaro la vittima di un sequestro. Di lì un finale assolutamente straniante, immerso nella nebbia, con un varco spazio-temporale degno di un romanzo cyberpunk, ma del quale non possiamo anticipare nulla.

Paolo Tomasulo ha voluto rendere omaggio alle proprie radici lucane e ai propri avi, in forma di libera narrazione basata per su una solidissima documentazione, su una puntuale ricognizione storica (c’è un passaggio sul modo di amministrare del re) e sull’intreccio di fatti reali e fatti inventati. Una immersione nel mondo contadino arcaico – senza idealizzazioni e senza edulcorazioni – riannodato al nostro presente. Dunque opera di fantasia, dove per la fiction si alimenta di generi diversi: storiografia ‘dal basso’, ispirata al metodo delle Annales, con una ricostruzione della vita quotidiana (credenze, pettegolezzi, usanze, caratteristiche dei materassi, abitazioni poco riscaldate, igiene personale, malattie diffuse, alimentazione, descrizione del cavatello…), poi saga famigliare, poi ballata popolare raccontata da uno storyteller poi i viaggi nel tempo di un filone recente della fantascienza.

Innumerevoli i possibili modelli letterari, impliciti e anche solo sfiorati: una comicità tutta legata al corpo, che ci rinvia al mondo boccaccesco (l’episodio del fidanzato sospettato di avere una gamba di legno, dunque con la assoluta necessità di verificare la perfida diceria prima delle nozze), i Malavoglia di Verga (la narrazione anche qui è scandita da proverbi), il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa (don Fabrizio, principe di Salina, spiega la Sicilia e la sicilianità all’inviato del governo sabaudo Chevalley di Monterzuolo), il Consiglio d’Egitto di Sciascia (divertissement letterario e romanzo-apologo basato su fatti e personaggi storici) e infine al Giorno del giudizio di Salvatore Satta (potente evocazione negromantica della intera comunità di un paesino sardo). Ma si tratta evidentemente solo di suggestioni che finiscono – come dichiara l’autore stesso – in un ‘gran frullatore’, costruito con accuratezza e segnato da una certa grazia narrativa, scritto in una lingua pulita, impastata di dialetto.

A un certo punto apprendiamo anche l’origine linguistica del soprannome dato ai Tomasulo, e cioè Saravalle. Gli spagnoli Borbone, istruendo il messo notarile sulla geografia dei luoghi dove avrebbe dovuto compiere il suo lavoro per il nuovo catasto, avevano scritto: “… el palacio està situado nel pais donde cierra la valle”.

Per ora le distorsioni del tempo appartengono solo alla fantasia, ma se attraverso la più ardita fisica novecentesca siamo almeno in grado di pensarle, allora riusciamo anche a immaginare come gli antenati di Paolo Tomasulo, i suoi ‘cari familiari’ qui evocati, possano raggiungere dal passato il loro pronipote – puntiglioso affabulatore e custode dei Lari domestici – per manifestargli tutta la loro gratitudine, offrendogli un bicchierino di prezioso Aglianico di cantina.

Filippo La Porta*

L’autore

Paolo TOMASULO, nato a Napoli nel 1967. Il suo dovere viene espletato nelle vesti di bancario, mentre il piacere viene distribuito in vari ruoli: dal teatro, per il quale scrive, dirige e recita, ai gatti, nei cui confronti diventa affascinato servitore. Ogni tanto, senza nemmeno accorgersene, si trova con la penna fra le mani.